Mason & Dixon di Thomas Pynchon

Libri divertenti: Thomas Pynchon, Mason & Dixon. Tra i libri da leggere assolutamente

Mason & Dixon | Thomas Pynchon | BUR Rizzoli

Vi sono libri che racchiudono mondi, universi narrativi di una ricchezza impressiva: notizie, eventi storici, amenità, viaggi, elementi peculiari di culture lontane e passate. Così è questo romanzo di Thomas Pynchon, autore istrionico e colto, versatile inventore, ventriloquo che parla innumerevoli linguaggi, in una pluralità di culture.

Per un lettore che non si tiri in dietro, entrare in questo romanzo è come salire sul Pequod di Achab o partire con Umberto Eco verso L’Isola del Giorno Prima o peregrinare con Baltasar e Blimunda, i personaggi che José Saramago ci ha donato con Il Memoriale del Convento.

In questo libro c’è un’intelligenza gentile, piena di ironia e amore per la penetrazione dell’esistenza, che fa scivolare sul fiume narrativo con la mascella pencolante di stupore e curiosità che, per quanto si continui a leggere, rimane inestinguibile. E poi ci sono i viaggi in un epoca – la fine del XVIII secolo – dove astronomia, topografia, tecnologia e scienza sono dominio a metà strada tra la follia visionaria, l’invenzione strampalata e il pionierismo.

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«Dissolution, Noise, and Fear. Below-decks, reduced to nerves, given into the emprise of Forces invisible yet possessing great Wight and Speed, which contend in some Phantom realm they have had the bad luck to blunder into, the Astronomers abide, willing themselves blank yet active. Casualties begin to appear in the Sick Bay, the wound inconceivable, from Oak Slinters and Chain and Shrapnel, and as Blood creeps like Evening to Dominion over all Surfaces, so grows the Ease of giving in to Panic Fear. It takes an effort to act phiosophickal, or even to find ways to be useful (…)».

Thomas Pynchon, Mason & Dixon

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  • Infinite Jest di David Foster Wallace

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    Con «Le correzioni» Jonathan Franzen ha vinto il National Book Award e il James Tait Black Memorial Prize. In una più sobria rivolta – lontana dal “realismo isterico” e dal riciclo del postmodernismo – ci regala una storia intensa, non moralista, più vicina alle imperdonabili debolezze umane, in una società inconsapevole e frenetica, un’esplosione di…

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    Malamud inizia dalla fine: dalla fine di un libro che lo scrittore Harry Lesser è incapace di finire, come se fosse «una forma di ripulsa scatologica». Inizia con una scrittura priva di prospettiva, è immaginazione di immaginazione, come una creazione ricorsiva di Escher, due mani che vicendevolmente si vergano.

  • Chiedi alla polvere di John Fante

    «Chiedi alla polvere» di John Fante è un romanzo rimasto pressoché nell’oblio fino al 1980, quando Bukowski e Robert Towne lo riportarono alla ribalta. Tutto accade in una tensione rapida, in un reticolo di emozioni e pensieri che travolgono il lettore e lo gettano nella mischia.

  • Mattatoio N.5 (o La crociata dei bambini) di Kurt Vonnegut Jr.

    Kurt Vonnegut ha una sadica inclinazione per l’assurdità e il suo lato grottesco. I suoi periodi sono costruiti per portare all’inversione del comico. La sua pazienza è arte nella semina di elementi, che riprende quando il lettore non se lo aspetta, creando smarrimento, stupore e nuove visioni.⁠

  • Il tristo mietitore di Terry Pratchett

    Dire che Terry Pratchett fa morire dalle risate è tanto scontato quanto inevitabile. Il Mondo Disco sembra riservato a un’enclave di masochisti che ama ridere di sé, un luogo magico dove si consuma il vituperato crimine contro ogni istituzione moderna e le culture di massa che si sforzano di tenere in piedi, in nome di…

  • La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead

    Umorismo Libri Fantasy: le Recensioni | La ferrovia sotterranea è un meraviglioso romanzo di Colson Whitehead che prende come materia narrativa la rete di itinerari segreti, persone e strutture clandestine che, nel XIX secolo, nascondeva gli schiavi fuggitivi e li aiutava a raggiungere gli Stati del Nord.

Infinite Jest di David Foster Wallace

Libri divertenti: David Foster Wallace, Infinite Jest. Capolavoro, tra i romanzi da leggere assolutamente

Infinite Jest | David Foster Wallace | Einaudi

Infinite Jest rimane un abbagliante raggio di luce e un tentacolare saggio filosofico su quanto i modelli culturali possano essere una collettiva esperienza lisergica.

«Alas, poor Yorick! I knew him, Horatio: a fellow of infinite jest».

William Shakespepare, Amleto

In questo libro David Foster Wallace sembra sublimare la sua esperienza: una specie di catabasi in una società ipertimica che lo ha spinto dalla necessità di emergere all’emergenza di esistere (un termine latino, «existere», che significa anche uscire fuori, distinguersi da).

Wallace scrive con un linguaggio elaborato, lessicalmente ricco; offre punti di vista platealmente originali, di un’intelligenza seducente, di un’indomita alterità. Un libro di spettri (lo spettro del padre di Hal Incandenza, ma il titolo richiama anche una frase che Amleto dice a Orazio su Yorick, il buffone: «Alas, poor Yorick! I knew him, Horatio: a fellow of infinite jest»). La storia è un viaggio nella liturgia onanistica di una civiltà, quella nordamericana, che nel testo diventa appunto la federazione O.N.A.N..

La trama ruota intorno a personaggi indimenticabili e a un misterioso film chiamato «l’Intrattenimento» che porta prima all’assuefazione e poi alla morte.

Il confronto tra l’inadatto Mario e il coach Schtitt di cultura Europea – nietzcheana, ma universalistica – diventa così prezioso. Dice Schtitt: «È tragico e triste e caotico e delizioso. E tutta la vita è così, come cittadini dello Stato umano: i limiti che ci animano sono dentro di noi, devono essere uccisi e compianti, all’infinito».

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«Ma vado oltre la meccanica. Non sono una macchina. Sento e credo. Ho opinioni. Alcune sono interessanti. Se me lo lasciaste fare, potrei parlare senza smettere mai. Parliamo pure, di qualunque cosa. Credo che l’influenza di Kierkegaard su Camus venga sottovalutata. Credo che Dennis Gabor potrebbe benissimo essere stato l’Anticristo. Credo che Hobbes non sia altro che Rousseau in uno specchio oscuro. Credo, con Hegel, che la trascendenza sia assorbimento. Potrei mettervi sotto il tavolo, signori», dico. «Non sono solo un creātus, non sono stato prodotto, allenato, generato per una sola funzione».

David Foster Wallace, Infinite Jest

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Le correzioni di Jonathan Franzen

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Le correzioni | Jonathan Franzen | Einaudi

Silvia Preschi traduce uno degli incipit migliori di sempre:

«Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di orribile stava per accadere, lo si sentiva nell’aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia. Alberi irrequieti, temperature in diminuzione, l’intera religione settentrionale delle cose era giunta al termine».

Signore e signori, ecco a voi Jonathan Franzen.

Con «Le correzioni» ha vinto il National Book Award e il James Tait Black Memorial Prize. In una più sobria rivolta – lontana dal “realismo isterico” e dal riciclo del postmodernismo – ci regala una storia intensa, non moralista, più vicina alle imperdonabili debolezze umane, in una società inconsapevole e frenetica, un’esplosione di cosciente ispirazione.

La gestione encomiabile di scene in contesti reali, con dialoghi rizomatici, sprigiona il commovente piacere per le piccole ossessioni. L’equilibrio lessicale si pone in un’area di confine, che precede la letterarietà del testo, con pochi lemmi precisi a impreziosire la prosa. La scelta dei momenti descritti è ferocemente tenera, le descrizioni hanno la giusta misura di dettagli e poche, perfette metafore.

La famiglia Lambert si riunisce per Natale e da qui inizia la filogenesi. Ogni personaggio è, a suo modo, poco meno di un eroe, poco più di una persona. L’«ansia di correzione» è il leitmotiv della famiglia poiché Enid (la madre) è da sempre un’instancabile manipolatrice, nel tentativo di piegare l’universo alla sua mercé.

Il figlio Chip, è uno scrittore, tra “crème fraiche” all’acetosella e una montagna di seni, docente espulso per comportamento licenzioso. Denise, la sorella, chef di successo, deve redimersi da un divorzio conseguenza della sua omosessualità. Gary è un uomo d’affari nevrotico.

L’intelligenza di Franzen è vertiginosa e lucida e, come accade in questi casi, la realtà che si specchia in essa, si può ammirare in tutta la sua deformità.

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«Sto dicendo che l’intera struttura culturale è allo sbando, – disse Chip. – Sto dicendo che la burocrazia si è arrogata il diritto di definire certi stati mentali come «malati». Lo scarso desiderio di spendere denaro diventa il sintomo di una malattia che richiede cure costose».

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    Infinite Jest rimane un abbagliante raggio di luce e un tentacolare saggio filosofico su quanto i modelli culturali possano essere una collettiva esperienza lisergica.

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    Malamud inizia dalla fine: dalla fine di un libro che lo scrittore Harry Lesser è incapace di finire, come se fosse «una forma di ripulsa scatologica». Inizia con una scrittura priva di prospettiva, è immaginazione di immaginazione, come una creazione ricorsiva di Escher, due mani che vicendevolmente si vergano.

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    «Chiedi alla polvere» di John Fante è un romanzo rimasto pressoché nell’oblio fino al 1980, quando Bukowski e Robert Towne lo riportarono alla ribalta. Tutto accade in una tensione rapida, in un reticolo di emozioni e pensieri che travolgono il lettore e lo gettano nella mischia.

Gli inquilini di Bernard Malamud

Libri divertenti: Bernard Malamud, Gli inquilini

Gli inquilini | Bernard Malamud | Minimumfax

Malamud inizia dalla fine: dalla fine di un libro che lo scrittore Harry Lesser è incapace di finire, come se fosse «una forma di ripulsa escatologica».

Inizia con una scrittura priva di prospettiva, è immaginazione di immaginazione, come una creazione ricorsiva di Escher, due mani che vicendevolmente si vergano.

La voce narrante è mobile, una commistione tra quella del personaggio scrittore (Lesser) e quella dello scrittore Malamud; il tempo verbale è il presente dell’indicativo, che mescola pensieri indiretti di Lesser, osservazioni di Malamud, descrizioni, dialoghi tra i due, dialoghi con se stessi. Poi, a riga 35, il narratore assume una forma onnisciente, il tempo diventa un passato remoto e si inizia di nuovo, anche se Malamud continua a sbirciare dal presente.

«Gli inquilini» è un metatesto edificato sui contrasti, sulle distorsioni e i campi di forza che convogliano, nella letteratura, verità e società. La storia è semplice: lo scrittore Lesser è l’ultimo inquilino rimasto in un palazzo che il proprietario, il signor Levenspiel, vuole demolire e riedificare. L’arrivo di un inquilino abusivo, Willie, un altro scrittore, scatena delle tensioni, la prima di tipo raziale (Ebreo Lesser, Afroamericano Willie), la seconda di tipo generazionale (Lesser è il passato, Willie è il futuro). La seconda ne genera una terza quando entra in scena Irene. Dopodiché c’è un colpo di scena.

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«Ci lavoro da quasi un anno e ancora non funziona. C’è qualcosa di essenziale che manca e ci vuol tempo per trovarlo. Ma mi ci sto avvicinando – me lo sento nelle vene. Sto avanzando dentro un mistero verso la sua rivelazione. Voglio dire che qualunque sia la cosa che mi sta preoccupando è sull’orlo della coscienza».

Un impasto da masticare per gli appassionati di Teoria della letteratura, una lettura meno digeribile per chi cerca una storia newyorkese. Come sostiene Aleksandar Hemon nella prefazione, il romanzo ha una profonda struttura dialogica, ed è un dialogo inconciliabile «(…) in definitiva violento tra (…) l’esistenza e la non-esistenza, tra Malamud e Malamud».

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Chiedi alla polvere di John Fante

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Chiedi alla polvere | John Fante | Einaudi

«Chiedi alla polvere» di John Fante è un romanzo rimasto pressoché nell’oblio fino al 1980, quando Bukowski e Robert Towne lo riportarono alla ribalta.

Tutto accade in una tensione rapida, in un reticolo di emozioni e pensieri che travolgono il lettore e lo gettano nella mischia.

La scrittura è come una scalfittura sulle pareti dell’intimità, pronta a sconfessare se stessa per il solo gusto di farlo; ha il tono dell’umiltà anche quando è esuberante, quando sceglie di dare rilievo agli invisibili, ai loro drammi, amandoli violentemente, senza rigurgiti moralistici o vanità intellettuali.

Che cos’è dunque «Chiedi alla polvere»?

  • È la storia tragicomica di un aspirante scrittore (Arturo Bandini), che vive in modo scriteriato, narciso, in cerca di idee, a Los Angeles.
  • È una relazione di reciproco sadismo tra lo scrittore e una giovane cameriera messicana (Camilla Lopez).
  • È la paura del femminino nella cattolicissima colpa del desiderio, che adultera il rapporto tra sessualità ed emotività.
  • È il rapporto sentimentale con un Dio da monte dei pegni, lascito della madre.
  • È l’amore per tutti gli esseri senzienti (anche per Pedro il topo).
  • È il rapporto tra godimento del creato e la fatica del creare.
  • È il dialogo interiore di Arturo Bandini che parla di sé in terza persona, personaggio della sua vita, indocile e teneramente illuso.
  • Sono le esperienze e i sogni ad occhi aperti, che si contaminano e immancabilmente divergono.
  • È la compagnia e il confronto impietoso con le tracce biografiche dei grandi autori come Joyce o Faulkner.
  • Sono le lettere all’editore Hackmuth (quello che nella vita reale fu H. L. Menken) e l’implicito riferimento al limbo del dipendere dal giudizio altrui.
  • Sono le arance, l’unico sostentamento che gli riempie lo stomaco svuotandogli il cuore, e la scrittura che si fa ossessione e prigione.
  • È la sabbia del deserto del Mojave.
  • È la testimonianza della polvere, la polvere del retaggio, la polvere del viaggio, quello dei vecchi pensionati trasferitisi a Los Angeles per morirci, perché «pulvis es et in pulverem reverteris».

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«A quelli che sono rimasti a casa potrete sempre mentire, tanto non amano la verità, non vogliono conoscerla, preferiscono credere che, prima o poi, anch’essi vi raggiungeranno in paradiso».

Nell’introduzione Baricco decostruisce su tre piani il racconto di Fante, l’unità del personaggio si muove su tre linee, secondo lui: l’uomo cattolico, l’innamorato, e lo scrittore e le

tre storie hanno esiti diversi. Non c’è modo più rapido di questo, per uscire dal senso del testo, ma lasciarsi sedurre dalle interpretazioni fa parte del piacere della letteratura.

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Mattatoio N.5 (o La crociata dei bambini) di Kurt Vonnegut Jr.

Umorismo libri fantasy: Kurt Vonnegut, Mattatoio N.5

Mattatoio N.5 o La crociata dei bambini | Kurt Vonnegut Jr. | Feltrinelli


Kurt Vonnegut ha una sadica inclinazione per l’assurdità e il suo lato grottesco. I suoi periodi sono costruiti per portare all’inversione del comico. La sua pazienza è arte nella semina di elementi, che riprende quando il lettore non se lo aspetta, creando smarrimento, stupore e nuove visioni.⁠

Il viaggio per il massacro di Dresda inizia così da Ilium, regno dell’optometria, che epicamente ricorda Ilio (Troia) – se l’accento cadesse sulla seconda “i” Ilìum, saremmo in un ventre, forse in quello del noto cavallo, come a dire: questa scrittura porta alla guerra e s’insinua viscerale portando al nostro interno la rivolta.⁠

Dinanzi alla guerra, Vonnegut – che a Dresda fu prigioniero – rinuncia al racconto e reclama la vita con una scrittura sovversiva e il suo «così è la vita», che si ripete 106 volte al termine di ogni aneddoto sulla morte è un amen, un «così sia» che unisce morti e vivi in un eterno presente.⁠

Così è Billy Pilgrim, il protagonista: un pellegrino (nomen omen) non un crociato che partecipa alla guerra senza prendervi parte e viaggia nel tempo. Gliel’hanno insegnato gli alieni di Tralfamador. Il prima e il dopo sono un’illusione, «(…) quando una persona muore, muore solo in apparenza. Nel passato è ancora viva» e poiché tutti i momenti sono permanenti, non muore mai.⁠

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«II cannone mandò un rumore straordinario, come la cerniera lampo dei calzoni di Dio onnipotente».

Un libro zibaldone dove confluiscono reminiscenze di registri d’organo, esserini verdi, strumenti di tortura, altri libri, pallottole dumdum, crociate di bambini, catastrofi, tormenti. Si parte per la vita come per la guerra: ingenui, bambini. Ed è un inganno, un mattatoio.⁠

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