Gli inquilini | Bernard Malamud | Minimumfax
Dopo la prima recensione su Chiedi alla polvere di John Fante, è il momento di Bernard Malamud e del suo Gli inquilini, un viaggio introspettivo nel palazzo dell’Io, nei recessi plurimi della coscienza di chi scrive, del suo abitare molteplici Sé, mondi reali e irreali.
Malamud inizia dalla fine: dalla fine di un libro che lo scrittore Harry Lesser è incapace di finire, come se fosse «una forma di ripulsa escatologica».
Inizia con una scrittura priva di prospettiva, è immaginazione di immaginazione, come una creazione ricorsiva di Escher, due mani che vicendevolmente si vergano.
La voce narrante è mobile, una commistione tra quella del personaggio scrittore (Lesser) e quella dello scrittore Malamud; il tempo verbale è il presente dell’indicativo, che mescola pensieri indiretti di Lesser, osservazioni di Malamud, descrizioni, dialoghi tra i due, dialoghi con se stessi. Poi, a riga 35, il narratore assume una forma onnisciente, il tempo diventa un passato remoto e si inizia di nuovo, anche se Malamud continua a sbirciare dal presente.
«Gli inquilini» è un metatesto edificato sui contrasti, sulle distorsioni e i campi di forza che convogliano, nella letteratura, verità e società. La storia è semplice: lo scrittore Lesser è l’ultimo inquilino rimasto in un palazzo che il proprietario, il signor Levenspiel, vuole demolire e riedificare. L’arrivo di un inquilino abusivo, Willie, un altro scrittore, scatena delle tensioni, la prima di tipo raziale (Ebreo Lesser, Afroamericano Willie), la seconda di tipo generazionale (Lesser è il passato, Willie è il futuro). La seconda ne genera una terza quando entra in scena Irene. Dopodiché c’è un colpo di scena.
Valutazione
TRAMA
PERSONAGGI
DALOGHI
TEMA MORALE
LINGUA E STILE
FACILITÀ DI LETTURA
COINVOLGIMENTO
«Ci lavoro da quasi un anno e ancora non funziona. C’è qualcosa di essenziale che manca e ci vuol tempo per trovarlo. Ma mi ci sto avvicinando – me lo sento nelle vene. Sto avanzando dentro un mistero verso la sua rivelazione. Voglio dire che qualunque sia la cosa che mi sta preoccupando è sull’orlo della coscienza».
Un impasto da masticare per gli appassionati di Teoria della letteratura, una lettura meno digeribile per chi cerca una storia newyorkese. Come sostiene Aleksandar Hemon nella prefazione, il romanzo ha una profonda struttura dialogica, ed è un dialogo inconciliabile «(…) in definitiva violento tra (…) l’esistenza e la non-esistenza, tra Malamud e Malamud».
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